martedì 8 febbraio 2011

Un regime della Magistratura?

Caro Direttore,
ho letto e riletto il commento, a firma Vincenzo Corrado, apparso su “Il Cittadino” di martedì 1 febbraio, dal titolo: “E questa sarebbe televisione?”. Lo trovo stimolante ed interessante, oltre che di buon senso; e ho qualche riflessione personale da aggiungere. Intanto mi pare di capire che, nelle trasmissioni citate (L’Infedele – Annozero), l’anomalia consista negli interventi esterni al programma stesso (Berlusconi – Masi), avvenuti in un clima di monologo, senza contraddittorio. A mio parere, il problema è un altro. Come semplice cittadino (nel caso di “Annozero” che paga il canone) trovo che sia profondamente ingiusto che si rimescoli continuamente il fango di pretesi processi mediatici a carico di persone che (può darsi tra qualche tempo) potrebbero risultare indenni da reati, mixando furbescamente il reale e l’interpretativo, per sostenere una propria tesi preconcetta o per fare audiens. Tant’è che, il giorno dopo, Santoro stesso si gloriava di avere ottenuto ben sette milioni di telespettatori e quindi, su questo fatto, sfidava chiunque “a chiudere la trasmissione”. Non ho alcuna considerazione professionale né per Lerner né per Santoro, posto che un corretto giornalismo, quello vero, per intenderci, non può venire costruito sull’arma continuativa (cioè sempre, non solo in questa occasione) della faziosità più smaccata e preconcetta, che è altra cosa dal “raccontare” le cose come stanno o dal portare avanti una propria tesi, frutto di indagine coscienziosa e oggettivamente responsabile. C’è una recentissima sentenza della Corte di Cassazione (n°3674 del 1/2/2011) che recita: “A ciascuno il suo: agli inquirenti il compito di effettuare accertamenti, ai giudici il compito di verificarne la fondatezza, al giornalista il compito di darne notizia, nell’esercizio del diritto di informazione, ma non di suggestionare la collettività (il corsivo è mio)” e non anticipi i possibili sviluppi. Oggi proliferano giornalisti che esistono soltanto per essersi distinti nell’essere contro qualcuno e ci fanno pure i soldi, oltre la carriera. Ascoltando certe conduttrici opinioniste televisive arrembanti, mi viene a volte da pensare che cosa abbiano di meglio loro di moltissime mie ex studentesse: non certo l’intelligenza e le capacità, neppure lato A o lato B; mi verrebbe da pensare che siano state (le ex studentesse) “più etiche”, ma non voglio farlo. In una giungla del genere, non credo si possa accumunare nel biasimo chi, in qualche modo tende a difendere se stesso con i mezzi che ha oppure chi cerca di salvaguardare il proprio ruolo. Ma vorrei andare oltre cioè alla radice della situazione che, per l’ennesima volta, si è venuta a creare nella opinione pubblica. In tempi non sospetti ho espresso il mio personalissimo parere che Silvio Berlusconi, per la carica che ha e per le responsabilità che porta, avrebbe dovuto possedere anche nel privato un comportamento più sobrio, lineare, dignitoso, fermo restando che, in casa propria, ognuno dovrebbe poter fare quello che vuole, a meno che si tratti di palese reato, non di “ipotesi di reato” formulate sulla base di indagini preventive parziali e a puntate, attivate a carico del soggetto per altri scopi. Se questa è diventata la regola (tu mi stai sugli zebedei, perciò io ti controllo per cercare di fregarti) significa che siamo veramente in uno stato di polizia e che la famosa “On liberty” è rimasta sullo scaffale dei libri da portare al macero. C’è un altro aspetto che vorrei dire. Nella nostra storia ci sono stati poteri insindacabili e autoreferenziali: i nobili, il clero, i medici, i burocrati. Tutti, prima o poi, hanno dovuto ridimensionarsi. Oggi ne è rimasto uno solo: la magistratura. I giudici possono fare e disfare, condannare e assolvere. Loro non pagano mai anche quando sbagliano. Tutti ricordiamo il caso Tortora; ma nelle nostre prigioni viene ritenuta virtuosa la percentuale del 30% di condannati innocenti. In altri termini, su centomila detenuti, trentamila sono innocenti. Pensiamo, se messi ipoteticamente insieme, a una città con il numero di abitanti di Codogno e di Casale unite…. Le cause che interessano qualcuno “di loro magistrati” filano veloci; le altre (quelle dei comuni cittadini) hanno tempi biblici, a meno che ci si metta di mezzo la catalizzazione politica.
Senza parlare di indagini annunciate a carico della magistratura e restate lettera morta: si è mai scoperto chi ha violato il segreto istruttorio? Ad esempio, nel 1994 chi è stato a dare in anteprima al “Corriere” la notizia a carico di Berlusconi? Il dott. Borrelli disse che sarebbe stata aperta un’indagine per reato… La medesima cosa (voglio essere bipartisan) è avvenuta a carico di Prodi, Dalema, Fassino, per l’Unipol (sono quelli che ricordo a memoria) e di altri. E’ successo qualcosa? Però, la giornalista del “Giornale” si è trovata in casa alle sei di mattina chi la perquisiva anche facendola spogliare, rea di avere pubblicato, due giorni prima, le divagazioni e i trascorsi romantici della Dott.a Boccassini. Ma, scusate, che c’è di “male” sia per la prima che per la seconda?
Negli anni novanta, la procura del dott. Borrelli ha incriminato migliaia di persone, in qualche decennio (si noti bene, “decennio”) tutti o quasi sono stati dichiarati innocenti; ma oggi chi può ridare loro la dignità e la vita perduta? Qualcuno ha sbagliato; ma chi paga? Non mi si venga a dire che possono ricevere risarcimenti in denaro: per piacere, non prendiamoci per il lato B, perché quei soldi escono anche dalle mie tasche di cittadino, non da quelle di chi ha sbagliato. Quanto a ciò che sta succedendo oggi, non mi interessano molto le vicende gossip di Silvio Berlusconi, anzi francamente non se ne può più; ma sono fortemente preoccupato per una magistratura che sembra ridurre a zero la riservatezza dei propri atti, la solidità e la ricerca oggettiva nell’ indagine, la coerenza dell’impianto accusatorio nelle configurazioni di reato, a favore di qualcosa d’altro che non mi pare sia e appartenga al proprio ambito ed alla propria funzione, oltre al fatto – gravissimo – che colonie di mafiosi se ne tornano a casa baldanzosi per inadempienze burocratiche. E fanno festa, non certo coi cannoli come Totò Vasa Vasa Cuffaro! Non posso tollerare l’idea che se ho avuto l’avventura di telefonare ad una persona, da quel momento io, cittadino inconsapevole, possa messo sotto controllo e se mi girano gli zebedei per qualcosa, ciò che dico possa venire estrapolato contro di me oppure se faccio una battuta scema, perché di buonumore, ci sia chi mi possa accusare di depravazione e neppure che in casa mia, se voglio andare in giro, in ciabatte e pigiama, ci sia qualcuno, occhiuto ed orecchiuto, che lo possa venire a sapere e spiattellare in piazza…
Paolo Bernabei
(Lettera iviata a "Il Cittadino" il 2 febbraio 2011)